Con il termine DEEPFAKE si intende una tecnica per la sintesi dell’immagine umana basata sull’intelligenza artificiale, usata per combinare e sovrapporre immagini o video esistenti ed appartenenti a soggetti determinati, con altre immagini o video originali. Il meccanismo, quindi, è simile a quello utilizzato da alcune applicazioni per smartphone che consentono di modificare i volti delle persone, ad esempio invecchiandoli o aggiungendo caratteristiche nuove come il trucco, barba o baffi.
Il risultato di questa pratica porta alla creazione di foto e video in cui i visi e i movimenti delle persone sono interamente simulati al computer, creando contenuti profondamente realistici, al punto da rendere molto difficile distinguere quelli falsi – costruiti cioè mediante deepfake – da quelli veri. Nel 96% dei casi, questi video sono a contenuto pornografico. In pratica, come accadeva per i vecchi fotomontaggi, il nostro volto potrebbe essere inserito in una scena pornografica o in un contesto a noi estraneo, e diffuso in rete a nostra insaputa.
Il Codice penale vigente non prevede una specifica norma incriminatrice dedicata agli illeciti commessi mediante l’intelligenza artificiale ma la posizione di colui che commette le condotte in esame può essere ricollegata a due diverse ipotesi di reato: la sostituzione di persona (art. 494 c.p.) e la frode informatica (art. 640 ter, comma 3, c.p).
L’art. 612 ter c.p., relativo al reato del cd. revenge porn parla espressamente di contenuti sessualmente espliciti prodotti, sottratti, ricevuti o altrimenti acquisiti ma non fa alcun riferimento a contenuti multimediali creati digitalmente o comunque non reali. Alla luce del principio di tassatività della norma incriminatrice e al divieto di analogia come principi cardine del diritto penale italiano, sembra difficile far rientrare il porno deepfake nella fattispecie incriminatrice del revenge porn.